Michele Campanella e Maurizio De Giovanni al cimitero delle Fontanelle

Ieri è stata una giornata importante per noi di Iris Fontanelle. La Parrocchia e il Comune ci hanno chiesto di dare una mano non solo all’organizzazione dell’evento, che ha visto Michele Campanella e Maurizio De Giovanni protagonisti di una bella giornata, ma anche di illustrare brevemente la storia dell’Ossario. Li ringraziamo.
Ho cosi parlato della nostra associazione e della storia del cimitero.
Ad un certo punto Nino Daniele, l’assessore che presiedeva l’incontro, mi ha chiesto di chiudere l’intervento ed io ho subito aderito alla sua richiesta, in quanto ero andato oltre i limiti di tempo che ci eravamo dati.
Ciò che però mi ha colpito è stato che, sceso dal palco, Antonella Cristiani, la curatrice della nostra linea editoriale, mi ha indicato una signora che aveva commentato l’interruzione dell’assessore dicendo: “ io avrei continuato a sentirlo con piacere” e, indicandomi la signora, le ha regalato compiaciuta una delle nostre pubblicazioni.
Io poi mi sono allontanato dal palco per seguire alcuni aspetti organizzativi dell’evento e altre persone si sono avvicinate a me e agli altri soci di Iris presenti e hanno manifestato il loro interesse per il nostro lavoro di ricostruzione storica, che dimostra perché l’interpretazione del cimitero delle Fontanelle, come un momento di autonomia e di contrapposizione degli strati popolari alla chiesa istituzione, sia priva di fondamento e come, invece, il luogo rappresenti un momento della complicata storia della contrapposizione della chiesa napoletana alla modernità negli ultimi due secoli.
In questa luce, l’interruzione dell’assessore invita alla riflessione e ad andare avanti, perché ha certo raccolto l’umore di alcuni, smaniosi di sentire Campanella e De Giovanni e , giustamente, non me, ma non ha colto anche l’interesse che c’era in un’altra parte del pubblico ad una storia diversa, e documentata, da quella che enfatizza il cimitero come simbolo della superstizione e del paganesimo del popolo napoletano, il paradigma della cultura popolare.
Anche l’articolo di Carlo Franco, che abbiamo pubblicato sulla nostra pagina Fb, parla di “ spettatori … ancora capaci di rispondere al richiamo ancestrale della cultura popolare, … in qualche modo rincuorati dalla “presenza” delle quarantamila anime “pezzentelle”, cioè senza nome e senza affetti”.
Come dire che l’anomalia napoletana è data non tanto da quello che dicono gli altri sui napoletani, ma dalla pigrizia della città, incapace di andare oltre gli stereotipi. Questione antica che si ripropone oggi di fronte alla domanda nuova di identità, e quindi di storia, che a Napoli è dirompente. E quando poi lo stereotipo romantico della cultura popolare diventa il brand decisivo per l’affermazione del turismo a Napoli, la frittata è ancora una volta fatta.

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